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Il PCE-SDS è un oscilloscopio registratore a 2 canali con un display 7” a colori che lo rende unico nel suo genere, inoltre è dotato frontalmente di una porta USB utile per scaricare ad esempio i dati su di una chiavetta. La maschera dei comandi è molto chiara e facile da usare, il tasto “Auto” permette di utilizzare la funzione integrata di impostazione automatica dei parametri.
Questo dispositivo ha un’elevata sensibilità, la possibilità di impostare la frequenza di campionamento fino a 1GS/s e l’uso di funzioni matematiche integrate.
Per maggiori informazioni: https://www.pce-instruments.com/italiano/
]]>Il potenziometro da 10k regola la tensione da 3 a 15 volt, quello da 47 ohm serve per limitare la corrente, da un minimo di 10mA fino a raggiungere 2A.
L200 ha un sistema di controllo per cui se il carico super la corrente erogabile, la tensione scende a 0.
Qui si può scaricare il datasheet del regolatore.
]]>Trovare componenti tradizionali è un’impresa sempre più difficile, soprattutto se ci interessa utilizzare controllori, processori o circuiti logici intelligenti in genere.
L’idea di dover lavorare con saldature microscopiche può scoraggiare, ma vediamo come con pochi ingegnosi accorgimenti il montaggio di componenti SMD è alla portata di ogni hobbista di elettronica.
Questa guida passo passo è suddivisa per tipologia di componente: infatti in base alle dimensioni e al numero di piedini le operazioni da seguire sono diverse.
Cosa ci serve
Primo metodo: saldatura pin per pin
Questo è un procedimento che si presta per i componenti di dimensioni maggiori come resistenze, condensatori, transistor SOT e integrati con package SO o SOIC.
Si tratta dei componenti che hanno passo 1.27, cioè la metà dei componenti tradizionali.
Sciogliere un po’ di stagno su una pista in posizione d’angolo (o su una delle due se si tratta di componenti a due terminali).
Posizionare con la mano o con le pinzette il componente in modo che i piedini combacino perfettamente con le relative piste.
Lo stagno che abbiamo appena depositato terrà il componente leggermente sollevato. Quando siamo certi del posizionamento, con la punta del saldatore scaldiamo il terminale d’angolo mentre teniamo il componente premuto verso il basso. Immediatamente questo si abbassa nella posizione corretta con un piedino saldato.
Verifichiamo il posizionamento e, se necessario, scaldando il terminale con lo stagno, possiamo ruotare o riposizionare il nostro componente.
Partendo dal piedino all’estremità opposta, passiamo a saldare tutti i terminali con la minore quantità di stagno possibile.
Un lavoro pulito ci garantisce ottimi risultati.
Componenti ancora più piccoli
Si tratta fondamentalmente degli integrati con zoccolo QFP
Questi non si possono saldare pin per pin in quanto troppi e troppo vicini tra loro.
Passare l flussante col pennellino sul circuito stampato sulle piazzole su cui dobbiamo saldare l’integrato.
Posizionare il componente con la massima precisione. A posizionamento completato, tenendolo sempre fermo, prendiamo il saldatore con un po’ di stagno sulla punta e lo avviciniamo ad un piedino per bloccarlo.
Passiamo il flussante sui piedini dell’integrato.
Prendiamo il saldatore sempre con un po’ di stagno sciolto sulla punta e lo facciamo letteralmente scorrere su tutti i piedini. Vedremo che lo stagno si depositerà esattamente tra piedini e stampato e le saldature saranno abbastanza pulite.
Facciamo lo stesso per tutte le altre file del componente
Con una lente dobbiamo adesso verificare il lavoro fatto e intervenire dove troviamo dei corto circuiti.
]]>Bastano pochi accorgimenti e i nostri circuiti saldati a mano risulteranno perfetti.
Preparazione
Innanzi tutto va preparata la postazione. Attaccare il saldatore, bagnare una spugnetta con acqua e dotarsi di tutto il necessario a portata di mano.
Molto utile ul terso braccio per reggere il circuito stampato.
La saldatura
Se i piedini del componente vanno piegati (per esempio le resistenze) utilizziamo una pinzetta facendo in modo che la misura sia leggermente inferiore alla distanza tra i buchi della basetta.
Con i terminali allargati lo infiliamo e, a circuito capovolto, rimarrà stabile.
Con la punta del saldatore scaldiamo piazzuola e terminale del componente per qualche secondo.
Sempre mantenendo il saldatore in posizione appoggiamo il filo di stagno sul rame del circuito stampato sciogliendone quanto basta (molto poco) per circondare il terminale.
Togliamo la punta del saldatore solo quando lo stagno si è attaccato al terminale prendendo una forma conica. Fa tutto da solo.
Pochi secondi per lasciare raffreddare e possiamo muovere il circuito.
In tutto, per saldatura, non servono più di pochi secondi.
Dopo la saldatura
Con un tronchesino vanno tagliati i terminali in eccesso alla base della saldatura
Saldare un circuito
Per un buon risultato va seguito un ordine dettato dall’altezza dei componenti: si parte dai più bassi per sfruttare l’appoggio ed evitare che a circuito capovolto essi cadano.
Si comincia quindi dagli zoccoli dei circuiti integrati, poi diodi e resistenze, transistor e alla fine LED e condensatori.
]]>Solitamente si utiliza una soluzione acquosa di cloruro ferrico, reperibile in soluzione o in cristalli da diluire negli ormai sempre più rari negozi di componenti elettronici.
Si immerge la basetta con mascherate le zone che non devono essere corrose e si attende che l’acido faccia il suo lavoro. Lo chiamo acido, come impropriamente viene diffusamente chiamato. L’inesattezza deriva dal processo di produzione (acido + metallo = sale + idrogeno) e dal fatto che in soluzione libera ioni H+ che reagiscono col rame.
La soluzione è riutilizzabile con efficienza sempre minore, fino a quando perde di efficacia. Questo perchè il rame rimosso delle basette aumenta in concentrazione con il tempo, fino a saturare la soluzione.
Esiste un modo per rigenerare il potere corrosivo della soluzione, che si può vedere anche come l’utilizzo di una sostanza diversa per la creazione dei PCB.
Ci servono acido cloridrico (reperibile al super: viene venduto in soluzione acquosa al 5% sotto forma di acido muriatico) e acqua ossigenata 120 volumi (la compriamo in colorificio o nei negozi di articoli per parrucchieri)
Tutto quello qu descritto va fatto all’aperto in luogo ben aerato e con guanti di protezione. Se abbiamo anche occhiali di protezione, non fanno male.
Prendiamo la soluzione esausta e aggiungiamo acido cloridrico, mescolando con un cucchiaio di plastica fino a che il deposito fangoso non sparisce.
Va aggiunta ora l’acqua ossigenata in quantità pari alla metà dell’acido utilizzato. Questa è l’operazione più delicata: la reazione schizza e produce gas.
Abbiamo ottenuto una nuova soluzione con cui masterizzare i nostri circuiti stampati
]]>Si tratta di un generatore di frequenza a 40kHz, sotto la soglia dell’udibilità per gli uomini, ma estremamente fastidiosa per i cani.
Il circuito è basato sul 555 un oscillatore utilizzato un po’ ovunque.
La frequenza di uscita generata da questo integrato viene poi amplificata da una rete di transistor in configurazione bridge.
La massima corrente che il 555 riesce ad erogare è di 200mA, scarsa per generare un suono fastidioso. Il secondo 555 produce la stessa frequenza, ma con picchi invertiti, così da alimentare il ponte di transistor in fase e controfase.
L’emettitore ultrasonico ci permette di avere la massima efficienza nella produzione sonora.
Buon divertimento!
]]>Si tratta di un caricabatteria alimentato da pannelli solari. Ovviamente in questo caso dobbiamo procurarcene uno piccolo abbastanza da risultare comodo e portatile…
Lo schema è rappresentato in figura ed è in realtà adatto qualsiasi tipo di alimentazione. Si tratta di un circuito che produce 6V controllato in corrente.
Il suggerimento per collegarsi al cellulare è quello di utilizzare lo stesso cavo del caricatore, tagliandolo. Infatti è molto difficile trovare i connettori a saldare. Se non disponiamo di un vecchio caricatore con lo stesso spinotto, possiamo poi utilizzare una spina intermedia per utilizzare la terminazione sia con il caricabatteria a parete sia con quello da noi costruito.
]]>La rotazione in senso orario o antiorario dipende dalla sequenza di eccitazione delle bobine.
Con un magnete e quattro bobine, ogni step corrisponde ad un quarto di giro (90 gradi). In realtà i motori possiendono molti più magneti e conseguentemente più bobine. Le bobine sono comunque collegate in parallelo in modo da avere quattro gruppi.
Il umero di magneti determina il numero di step necessari per completare un giro.
Il numero di step è una delle caratteristiche “di etichetta” del motore. Un motore da 20 step compie 18 gradi per ciascuno (360/20)
Collegamenti
Solitamente dai motori escono due gruppi di tre fili. In ciascun gruppo uno è il comune e gli altri vanno alle bobine.
Se il motore lo abbiamo recuperato e non abbiamo nessuna indicazione, andiamo a tenativi, arrivando a determinare la sequenza corretta in base al movimento del perno.
Detto questo, passo alla descrizione pratica.
Il circuito elettronico deve realizzare un timer. Questo lo possiamo rendere sofisticato a piacere: display, programmabilità, interfaccia comoda per l’utente e tutto quello che vogliamo.
O semplicemente decidere da firmware che si aziona una volta ogni 24 ore. Se preferiamo, possiamo prevedere un RTC. Questo rende più comoda la programmazione.
Il meccanismo da gestire è il seguente: una tanica che contiene l’acqua e una pompa ad immersione che viene azionata per pochi secondio una volta ogni 24 ore e riempie una vasca posta ad un’altezza superiore a uella dei vasi.
La pompa che ho acquistato io costa 7 euro funziona a 12V e l’ho presa in un centro di articoli da campeggio e nautica.
La pompa può essere controllata a tempo, o con un interruttore di livello.
Dalla bacinella partono dei tubicini che raggiungono i vasi da irrigare.
La dimensione della tanica deve essere sufficiente per distribuire l’acqua nei giorni di assenza.
Ulteriori spunti di progettazione.
Spero di aver suggerito una idea valida che aiuta a mantenere in vita le piante durante le nostre ferie
]]>PWM sta per Pulse Width Modulation ed è una tecnica per controllare la potenza su un dispositivo analogico tramite una serie di impulsi digitali.
Lunghezza e frequenza dell’impulso determinano la potenza totale trasferita all’utilizzatore.
Segnali PWM sono comunemente utilizzati per controllare la velocità di motori in continua o l’intensità di lampade ad incandescenza, ma possono essere utilizzati anche per variare l’intensità di una lampada a LED.
Il vantaggio di questa modalità di controllo è quello di fornire all’utilizzatore sempre la tensione di lavoro, non avendo di fatto un carico resistivo su cui disperdere la potenza.
Il treno di impulsi digitali che compongono il segnale PWM è basato su frequenza fissa e vede variare la larghezza, di fatto variando la percentuale di “accensione” del circuito finale.
Il rapporto tra ampiezza del segnale e periodo è chiamato duty cycle del segnale. Per esempio prendendo un segnale con un periodo di 10ms in cui il segnale ha ampiezza di 2ms, si parla di duty cycle del 20%.
Come si realizza il circuito di controllo.
Di fatto servono due sole componenti: il generatore di segnale e l’amplificatore di potenza.
Il generatore di segnale è un normale oscillatore digitale e la realizzazione più semplice vede l’impiego di microcontrollori programmati direttamente (si tratta di un loop in cui l’uscita cambia di stato 1/0).
Molti controllori disponibili hanno uscite già dedicate al PWM, controllabili tramite l’uso di registri della CPU.
L’amplificatore (è sufficiente un transistor di potenza o un darlington) serve per amplificare il segnale. L’uscita digitale di un controllore non eroga corrente a sufficienza per pilotare un motore.
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