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Impariamo ad utilizzare la pistola per verniciare a spruzzo, tutte le sue regolazioni e la tecnica per ottenere risultati strabilianti.
Partiamo dalla teoria sulla verniciatura per comprenderea fondo come utilizzarla al meglio con l’aerografo.
Qualche trucchetto per perfezionare la tecnica e ottenere risultati professionali anche a casa.
Iniziamo a capire come è fatta la vernice e come si pittura: darla a spruzzo è solo il metodo con cui la depositiamo sul supporto da verniciare, quindi tutta la teoria rimane invariata.
Come è fatta la vernice
Ritengo utile partire dalle basi per capire con cosa stiamo lavorando, per riuscire a utilizzare meglio il prodotto. Senza addentrarci in formule chimiche o dettagli non utili allo scopo, vediamo come è composta una vernice. Sono tutte uguali!
Fondamentalmente la vernice è una resina in cui sono disciolti altri componenti inerti che servono ad attribuire alcune caratteristiche particolari.
La resina è il componente principale che fa da “collante” a tutto: si lega con la superficie a cui deve e solidifica formando una patina sottile e resistente che incorpora gli altri componenti.
La resina è mischiata a solventi che la mantengono in uno stato fluido per facilitarne la stesura. Evaporando, i solventi, permettono la solidificazione della resina.
Le caratteristiche della resina ed il tipo specifico di solvente sono la caratterizzazione principale della nostra vernice.
Ogni resina ha il suo solvente: acqua, olio, nitro, poliuretanico, …
Alcune resine sintetiche vengono realizzate in modo da avere una caratteristica di particolare resistenza ad essicazione avvenuta. Proprio per questa caratteristica rischierebbero di solidificare troppo in fretta (anche nel barattolo). Sono stati quindi separati gli “indurenti”, realizzando così di fatto un prodotto bi-componente. La resina ed il catalizzatore. Le vernici bi componenti sono quindi caratterizzate da una resina che non indurisce se non con l’aggiunta di un prodotto specifico. Si tratta di una reazione chimica ben precisa, in cui è importante che ciascuna molecola di resina reagisca con le opportune molecole di catalizzatore. Per questo motivo le proporzioni in cui devono essere miscelati i due componenti devono essere indicate e precisamente rispettate.
Tra i componenti inerti che fanno parte della vernice giocano un importante ruolo i pigmenti che servono per fornire colore alla miscela.
Altre sostanze possono essere riempitivi, plastificanti, metallizzanti, buccianti, martellanti, … e servono per realizzare particolari caratteristiche alle vernici.
Il “ciclo” di verniciatura
Si parla di ciclo di verniciatura riferendosi alla sequen za delle fasi di lavorazione in relazione alle operazioni ed alle sostanze utilizzate.
Di fatto ormai si lavora come schematizzato in figura, creando strati differenti sull’oggetto: il fondo e la (o le) finitura.
In questo modo si ottengono numerosi vantaggi.
Tanto per cominciare si riesce a rendere indipendente la finitura dal materiale, rendendo di fatto equivalente la verniciatura su legno, ferro, plastica o altro materiale.
Vengono anche ridotte le tipologie di prodotti da dover utilizzare: ogni strato deve preoccuparsi esclusivamente della compatibilità con lo strato sottostante.
Il fondo svolge funzioni di preparazione della superficie e permette un “aggrappaggio” dello strato successivo. Esistono fondi riempitivi che hanno un’azione “pre-stuccante”, fondi turapori per legno che permettono di ridurre l’assorbimento, antiruggine per metalli, …
Il fondo può essere trasparente o colorato. Il fondo colorato più utilizzato è quello bianco (per esempio la cementite). Di solito si utilizza il trasparente quando la colorazione successiva deve lasciare in evidenza le caratteristiche del supporto (per esempio se vogliamo le venature del legno a vista). Si sceglie invece quello coprente colorato se si intende coprire con uno smalto.
Il fondo è destinato ad essere completamente coperto, quindi solitamente si utilizza bianco. Se vogliamo invece facilitare la verniciatura successiva, possiamo tranquillamente colorare anche il fondo, evitando di avere anche il problema di nascondere il bianco. Va coperto, quindi possiamo chiedere al colorificio di realizzarlo dello stesso colore che utilizzeremo per la finitura, oppure utilizzare i pigmenti generici per arrivare ad un colore vicino a quello della finitura. Si può anche pensare ad un lavoro fatto da fondo della tinta corretta e finitura trasparente.
Dopo aver dato il fondo (una o due mani, indicato nelle specifiche del prodotto) si passa alla fase di stuccatura e carteggia tura. Lo stucco serve per coprire difetti della superficie (buchi, botte, gibolli, …) la levigatura per rendere liscia la superficie.
Questa è la fase più importante di tutto il lavoro. È quella che determina la riuscita di una buona verniciatura. Lo smalto o la vernice che si da dopo, infatti, non potrà coprire i difetti, ma al contrario, tende a metterli in risalto.
Per la levigatura si utilizza carta vetrata fine (da 400 a 1000) e si passa con un tacchetto di legno, per evitare le imperfezioni di prssione che si avrebbero passandola a mano.
Dopo una pulizia del supporto si può passare alla finitura. Avendo fatto un buon lavoro sul fondo, il lavoro va in discesa.
Quante mani dare e come comportarsi tra una mano e l’altra. Il numero di mani dipende molto dal prodotto e dalla finitura che desideriamo.
Per decidere come comportarsi tra due mani, dobbiamo considerare che cosa succede.
I solventi presenti nella vernice che si stende aderiscono allo strato inferiore sciogliendo leggermente la vernice e creando di fatto un strato compatto.
In base a cosa usiamo per verniciare (rullo, rullino, pennello, spruzzo) stabiliamo il tempo minimo che deve passare tra le due mani. Il pennello richiede tempi più lunghi perché c’è il rischio limite di rimuovere lo strato inferiore con la passata delle setole. Lo spruzzo permette anche il bagnato su bagnato: di fatto non crea problemi di rimozione.
Per il tempo massimo, va tenuto in conto del tempo di essicazione: la mano deve essere stesa su una vernice non completamente essicata, altrimenti lo scioglimento dello strato inferiore risulta difficoltoso o impossibile. Nel caso in cui passi molto tempo (o per una mano di restauro) dobbiamo levigare lo strato inferiore, per rimuovere la patina superficiale.
Terminata la verniciatura, a seconda del tipo di pittura, può essere necessario o consigliata una levigatura finale, lucidatura, …
Preparazione della vernice
Strano: la vernice va preparata! Anche se sul barattolo c’è scritto “pronta all’uso”, non fidarsi è sempre una buona regola.
A seconda de tipo di vernice, la preparazione è differente. In particolare abbiamo da distinguere tra mono e bi componente.
Se stiamo colorando una base bianca, la prima operazione è la miscela dei pigmenti per ottenere il colore. Questi vanno poi aggiunti al bianco per ottenere la colorazione e gradazione desiderate. L’ideale è realizzare il processo in modo che sia “ripetibile”, per esempio pesando la base e i pigmenti, in modo da essere sempre in grado di ottenre lo stesso colore. Se questo non è possibile, dobbiamo preparare in una volta sola tutto il quantitativo necessario.
Diluizione. Si aggiunge il diluente specifico per ottenere la densità corretta.
Catalizzatore. Per le bicomponenti va aggiunto il secondo componente. In questo caso la bilancia è indispensabile. Non vale l’occhio, il misurino, … i rapporti resina/catalizzatore sono una caratteristica chimica della resina: non si sgarra. Troppo catalizzatore causa grumi, essicazioni premature durante la fase di stesura, facilità di “sfogliarsi” della finitura. Poco catalizzatore porta a stendere un fluido che non solidificherà mai completamente.
Come si miscelano? Si legge sull’etichetta o sulla scheda tecnica. Se c’è scritto: “Catalizzare al 50%” significa che prendiamo 100g di base, aggiungiamo 50g di catalizzatore, per ottenere 150g di vernice, oltre al diluente che abbiamo aggiunto (va pesata prima!).
Quanto deve essere densa la vernice? Dipende da tanti fattori: come la stendiamo, caratteristiche ambientali (temperatura prima di tutto), spessore che vogliamo ottenere con uno strato, …
Cerchiamo di capire come si comporta la vernice, dopodiché il grado di fluidità lo troviamo: prendiamo un pennello risecchito, bagniamo la punta nello smalto e passiamo su una superficie liscia. La vernice forma le righe della pennellata, che lentamente tendono a sparire per formare una superficie liscia. Questo è il comportamento della vernice! È il motivo per cui non vediamo le pennellate (o almeno non dovremmo) sul prodotto finito. Variando la diluizione si agisce sulla viscosità e quindi sulla velocità con cui questo “spianamento” avviene. Più è fluida, più la velocità di spianamento è maggiore e lo strato di vernice depositato è sottile.
Gli eccessi si traducono in pennellate visibili a prodotto essicato e non copertura della mano inferiore.
La tecnica a spruzzo
Come dicevo, l’ho presa larga, ma finalmente ci siamo.
Penso però di aver fornito elementi per comprendere cosa sta dietro a consigli e tecniche e capire come muoversi.
Innanzi tutto che cosa significa verniciare a spruzzo: trasferire la vernice sul supporto soffiandocela sopra. Non ci sono pennelli, rulli, tamponi, …
Ogni metodo di trasferimento ha le sue caratteristiche da gestire: il pennello tende a lasciare le righe, il rullo tende a bucciare, … lo spruzzo tende a disperdere e disgregare le componenti della vernice. Lo spruzzo non permette di spostare la vernice, una volta depositata.
Cosa serve:
La pistola
La pistola a spruzzo permette di regolare una serie di parametri. Vediamo come fare per capire quali sono le regolazioni ottimali.
Non ho mai verniciato a spruzzo e non so come deve essere il getto. Questa è una situazione ovvia per un hobbista. Investiamo 3 euro per una bomboletta spray economica. Con la nostra pistola dobbiamo poter verniciare allo stesso modo in termini di quantitativo di vernice e tipologia di getto.
Mi sembra un buon modo per capire come regolare la pistola.
La tecnica
Il pannello lo stendiamo piatto su dei cavalletti, utilizzando dei listelli per distanziarlo. In questo modo evitiamo che si sporchi la faccia rivolta verso il basso e che i bordi tocchino i cavalletti.
Si parte dai bordi. Sono critici e chiedono più mani. Se li facciamo per ogni faccia, avremo dato il doppio delle mani.
Di fronte al pannello, con movimenti orizzontali paralleli a noi copriamo il pannello. Andiamo verso l’esterno: da noi ad allontanarsi. In questo modo lo spolvero viene allontanato e inglobato nella vernice.
Diamo subito la seconda mano incrociata a 90 gradi. Questo permette di colmare eventuali vuoti lasciati nella prima.
Quando arriviamo al limite del pannello, spruzzare fuori, evitando il passaggio eccessivo nella zona perimetrale. Si creerebbero zone in cui il film di vernice sarebbe più spesso.
Quanto bagnato deve essere lo strato? Abbastanza: molto simile a quello che sarebbe utilizzando un pennello o un rullino. Non dimentichiamo che lo spruzzo è solo una tecnica di trasferimento, non qualcosa che prevede utilizzo di vernici diverse.
Cosa fare se rimane della polvere, un moscerino o altre impurità? Togliamo subito con un dito, o con un pennellino piccolo che ci teniamo nei paraggi. La vernice non è ancora solida: il segno che lasciamo si chiude, esattamente come sparirebbero le righe delle pennellate.
Se il bordo cola? Sempre con il pennello, eliminiamo le gocce. È più facile farlo da bagnato che con la carta vetrata dopo.
Un eventuale ritocco va fatto subito e non localizzato al punto da ritoccare, ma occorre ripetere una passata completa.
Pulizia della pistola.
È fondamentale e va fatta subito dopo il lavoro.
]]>La teoria
Prima di passare alla realizzazione pratica, vediamo come funziona e come è composto un compressore d’aria.
Ho schematizzato nel disegno le parti che lo compongono col duplice scopo di descriverlo e utilizzarlo come progetto per la costruzione.
L’elemento principale è il motore, il compressore vero e proprio. Senza entrare in dettagli non utili ai fini della costruzione, si tratta di un motore con due tubi: uno da cui aspira aria e l’altro da cui la soffia. Al tubo di ingresso è solitamente applicato un filtro, per evitare che polvere o altro sporco entri nel motore. Il tubo di uscita pompa l’aria in un serbatoio. La valvola di non ritorno serve per evitare che dal serbatoio l’aria refluisca indietro e si svuoti o, peggio, danneggi il motore.
La valvola di sicurezza è una speciale valvola che si apre al superamento di una pressione limite. È molto importante utilizzarla per prevenire incidenti: l’aria ad alta pressione (Tipicamente si regola a 8 atmosfere) può fare danni davvero grossi ed è molto pericolosa! Va considerato che la pressione all’interno di un recipiente sale con l’aumentare della temperatura, quindi una valvola permette di tutelarci da aumenti di pressione anche in nostra assenza. Visto che costa meno di tre euro e si trova in un qualsiasi ferramenta, consiglio di acquistarla per prima, almeno siamo sicuri di utilizzarla fin dai primi esperimenti.
Il pressostato è un interruttore che viene controllato dalla pressione. La sua funzione è quella di regolare il funzionamento del compressore e garantirci di avere sempre aria compressa nel serbatoio. È un dispositivo che, quando sente una pressione maggiore di quella impostata, interrompe il circuito al motore, per riaccenderlo quando la pressione scende sotto un valore soglia.
Infine il riduttore di pressione in uscita serve per controllare la pressione disponibile all’attacco del compressore. Tramite questo riduttore si regola, esattamente come con il rubinetto dell’acqua, la forza e la velocità con cui esce l’aria dal serbatoio.
Il serbatoio è il contenitore che contiene l’aria compressa. Svolge la funzione di serbatoio e la sua capacità, che si misura in litri, indica l’autonomia, ma anche il tempo che dobbiamo aspettare per avere l’aria compressa a disposizione. Avere un serbatoio, anche piccolo, ci permette di avere un flusso d’aria più regolare. Il motore, pompando aria, soffia “a scatti” e questo può dar fastidio per alcuni impieghi (per esempio per l’aerografo). Se interponiamo un serbatoio tra il motore ed il rubinetto di uscita, sfruttiamo la sua capacità per eliminare gli sbalzi.
Un’alternativa.
A seconda dello scopo per cui ci serve il compressore, possiamo optare per un compressore “senza serbatoio”. Se per esempio vogliamo un compressore solo per gonfiare le gomme, possiamo realizzarlo in una versione minimale, che esclude (o riduce al minimo) il serbatoio.
Questa versione minimale è costituita da motore, valvola di sicurezza, valvola di non ritorno e rubinetto d’uscita. Ho parlato di serbatoio ridotto al minimo, perché la sua funzione la svolge comunque il tubo prima del rubinetto. In questo modo abbiamo comunque eliminato gli scatti dell’aria. La valvola di sicurezza continuerà a soffiare, ma le gomme le gonfiamo senza problemi. Spesa totale meno di 10 euro, tempo di realizzazione poco più di un’ora.
E adesso al lavoro!
Dobbiamo individuare il frigorifero da cui recuperare il motore (ci sta già venendo voglia di cambiare il nostro?). In questo periodo in cui ci sono molti incentivi per l’efficienza energetica sono in molti a comprarlo, magari ci capita qualcuno che conosciamo. Il motore è una boccia nera (foto) visibile sul retro, in basso. Per recuperarlo dobbiamo svitare le quattro viti che lo tengono fisso sul fondo e segare i due tubi che portano alla serpentina. Con il Dremel è un lavoro di 5 minuti, a mano ci vuole un po’ di più.
Vanno poi tagliati i cavi elettrici (a spina staccata, ovviamente!)
Dobbiamo poi recuperare il serbatoio. Abbiamo molte alternative, in funzione del budget, del tempo e del fatto che ci serva o meno. Possiamo comprarne uno in un brico, utilizzare quello del compressore rumoroso che abbiamo comprato e non possiamo più utilizzare, utilizzare dei tubi dell’acqua, …
Materiale necessario:
Il filtro dell’aria l’ho costruito con uno spezzone 5cm di tubo di gomma. Gli ho praticato tantissimi fori sulle pareti. Tramite la fascetta l’ho assicurato al tubo di ingresso, ricoperto da un pezzo di tessuto.
Come individuare il tubo di ingresso e quello di uscita? Accendiamo per un attimo il motore e, avvicinando il dito, da uno sentiamo soffiare (uscita), dall’altro sentiamo aspirare (ingresso).
Al tubo di uscita, sempre tramite fascetta, attacchiamo il tubo in gomma. All’altra sua estremità il raccordo. Adesso assembliamo i pezzi secondo lo schema, ricordandoci parecchi giri di teflon su tutti i filetti.
Mancano i collegamenti elettrici. Ho fotografato la morsettiera del compressore del frigorifero per facilitare il lavoro. Quando era al suo posto nel frigorifero, al motore arrivavano due cavi: uno collegato alla spina e l’altro al termostato. Il termostato non è altro che un interruttore che, controllato dalla temperatura interna del frigorifero, apre o chiude il collegamento. Eliminando il termostato abbiamo due alternative:
Rifiniture
Il lavoro è finito. Adesso possiamo migliorarlo, montando il tutto su un’assicella di legno a cui applichiamo 4 ruote.
Possiamo dotare il compressore di più di un rubinetto di uscita, magari dotando ciascuno di un riduttore di pressione.
La fantasia (e la necessità) ci possono suggerire molte altre varianti, ricordiamo sempre di prestare attenzione alla valvola di sicurezza: se modifichiamo lo schema, inserendo per esempio rubinetti o qualcosa che crea più zone, dotiamo ciascuna di una valvola. In questo modo siamo sicuri di non rischiare scoppi.