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Il problema, come ogni anno, si ripresenta. In questo articolo propongo una soluzione che permette l’irrigazione in appartamento o balcone, con una discreta autonomia.
Come premessa voglio sottolineare che i destinatari di quanto presento non sono i “pollici verdi”, ma gli appassionati di elettronica.
Come coerente con il tema di questo sito, l’articolo descrive che cosa costruire per realizzare un mini impianto di irrigazione domestica autonomo.
Detto questo, passo alla descrizione pratica.
Il circuito elettronico deve realizzare un timer. Questo lo possiamo rendere sofisticato a piacere: display, programmabilità, interfaccia comoda per l’utente e tutto quello che vogliamo.
O semplicemente decidere da firmware che si aziona una volta ogni 24 ore. Se preferiamo, possiamo prevedere un RTC. Questo rende più comoda la programmazione.
Il meccanismo da gestire è il seguente: una tanica che contiene l’acqua e una pompa ad immersione che viene azionata per pochi secondio una volta ogni 24 ore e riempie una vasca posta ad un’altezza superiore a uella dei vasi.
La pompa che ho acquistato io costa 7 euro funziona a 12V e l’ho presa in un centro di articoli da campeggio e nautica.
La pompa può essere controllata a tempo, o con un interruttore di livello.
Dalla bacinella partono dei tubicini che raggiungono i vasi da irrigare.
La dimensione della tanica deve essere sufficiente per distribuire l’acqua nei giorni di assenza.
Ulteriori spunti di progettazione.
Spero di aver suggerito una idea valida che aiuta a mantenere in vita le piante durante le nostre ferie
]]>Vediamo passo passo come fare dei conti per calcolare l’effettivo risparmio che ci portano le lampadine a basso consumo.
Il confronto va sempre fatto sulla totalità di energia che si consuma (o che si risparmia). L’energia sono i kilowatt ora che paghiamo nella bolletta, quindi quello che davvero si trasforma in costo.
Per calcolare il risparmio, abbiamo bisogno quindi di poche informazioni: potenza, durata e costo del kWH.
Le prime due le troviamo sulla scatola della lampadina. Per fare i conti utilizzo una lampadina di esempio, su cui troviamo le seguenti indicazioni:
Il costo del kWh lo troviamo sulla bolletta e si aggira intorno ai 20 centesimi. Utilizzo questo valore per il mio esempio.
Utilizzare la lampadina descritta ci permette di risparmiare 100 – 25 = 75W.
In energia significa che risparmiamo 75 Watt ora per ogni ora di illuminazione (0,075 kWh)
Se consideriamo attendibile la durata dichiarata di 8000 ore, 8000 * 0,075 = 600 kWh di risparmio totale.
Trasformiamo il risparmio in soldi: 600 * 0,20 = 120 euro.
Questo numero si legge così: ogni lampadina (con quelle caratteristiche) mi fa risparmiare un totale di 120 euro per tutta la sua vita dichiarata (8000 ore)
Vanno però fatte alcune considerazioni:
Proviamo allora a fare un altro tipo di conto: dopo quanto tempo dall’acquisto inizio ad avere un risparmio.
Costo medio di una lampadina a basso consumo: 5 euro
Costo di una lampadina ad incandescenza: 0,50 euro (in questo caso la durata media è di 1000 ore).
La risposta ci arriva dalla risoluzione della seguente equazione:
5 + 0,025 * 0,2 * t = 0,5 + 0,100 * 0,2 * t
che porta a calcolare t= 300.
Dopo 300 ore di utilizzo di una lampadina a basso consumo iniziamo a vedere i benefici. Considerando le 3 ore giornaliere di prima, i benefici arrivano dopo 300/3 = 100 giorni, cioè 3 mesi.
Quanto si risparmia al giorno?
0,075 * 3 * 0,2 = 0,045 euro (che possiamo vedere al contrario come 1 euro ogni 22 giorni).
I numeri sono totalmente esemplificativi, ma basati su dati reali. Le conclusioni sono a carico di ciascuno: l’utilizzo che ciascuno fa delle lampadine serve ad interpretare questi calcoli.
]]>Questa logica ha il grande vantaggio di offrire praticamente tutte le funzionalità che servono solo cercando il plugin adatto. Il rovescio della medaglia sta nella mancanza di un disegno comune relativo allo sviluppo dei plugin, per cui ogni modulo è pensato per essere chiuso: chi lo sviluppa è orientato allo sviluppo di qual modulo, pensando elle proprie installazioni e quindi alle sue specifiche esigenze.
Un caso da portare ad esempio è costituito dai due plugin Contact form 7 di Takayuki Miyoshi e Math comment spam protection di Michael Woehrer.
Il primo serve per realizzare moduli di contatto nel sito, a disposizione dell’utente che può inviare una mail all’amministratore del sito tramite una pagina web.
Il secondo offre un campo finalizzato alla protezione da spam nel modulo dei commenti.
Entrambi sono due validissimi plugin, comodi e ben funzionanti. Peccato che la protezione da spam è utile anche in contact form differenti da quella utilizzata per postare i commenti. Se abbiamo scelto di utilizzare il Math comment spam protection, probabilmente abbiamo escluso per un qualsiasi motivo Akismet o i captcha, entrambi supportati da Contact form.
La faccio breve: io li utilizzo entrambi e ho sviluppato un modulo per poter utilzzare la protezione antispam dal contact form7. Il modulo è scaricabile gratuitamente
Antispam module for contact form 7 (394 downloads)Per installarlo è sufficiente copiare il file nella directory modules presente in contact form 7 e avere entrambi i plugin installati ed attivi
Grazie alla modularità con cui è scritto il Contact form, in maniera del tutto analoga agli altri campi, il menu a tendina ci offrirà un altro tipo di input che si chiama “antispam” e corrisponde al Math spam protection.
Il messaggio di errore che viene visualizzato si configura prendendo quello già disponibile per i captcha (chi usa questo plugin non usa i captcha nella form).
()
Il risultato è quello di avere una form di contatto con un campo che ci invita a svolgere una semplice somma aritmetica per escludere di essere spammer o un robot.
Il messaggio visualizzato è personalizzabile ed utilizza i placeholder %op1 e %op2 per la visualizzazione dei due operandi.
English version
Worpress is a good open source CMS and offer many add-ins, thanks to users who develop plugins for OOS community.
The only problem in this logic is that every developer develop for his/her needs and they don’t have a common design. So there are cases in wich two logical connected plugins doesn’t work together.
This is the case of Contact form 7 by Takayuki Miyoshi and Math comment spam protection by Michael Woehrer.
The file you can download here is a module that let contact form to have an antispam field.
Antispam module for contact form 7 (394 downloads)To install this module you just have to add the file in the “module” folder of Contact form plugin. You’ll have a new field type. The only useful poperty you have to set is Message.
]]>PWM sta per Pulse Width Modulation ed è una tecnica per controllare la potenza su un dispositivo analogico tramite una serie di impulsi digitali.
Lunghezza e frequenza dell’impulso determinano la potenza totale trasferita all’utilizzatore.
Segnali PWM sono comunemente utilizzati per controllare la velocità di motori in continua o l’intensità di lampade ad incandescenza, ma possono essere utilizzati anche per variare l’intensità di una lampada a LED.
Il vantaggio di questa modalità di controllo è quello di fornire all’utilizzatore sempre la tensione di lavoro, non avendo di fatto un carico resistivo su cui disperdere la potenza.
Il treno di impulsi digitali che compongono il segnale PWM è basato su frequenza fissa e vede variare la larghezza, di fatto variando la percentuale di “accensione” del circuito finale.
Il rapporto tra ampiezza del segnale e periodo è chiamato duty cycle del segnale. Per esempio prendendo un segnale con un periodo di 10ms in cui il segnale ha ampiezza di 2ms, si parla di duty cycle del 20%.
Come si realizza il circuito di controllo.
Di fatto servono due sole componenti: il generatore di segnale e l’amplificatore di potenza.
Il generatore di segnale è un normale oscillatore digitale e la realizzazione più semplice vede l’impiego di microcontrollori programmati direttamente (si tratta di un loop in cui l’uscita cambia di stato 1/0).
Molti controllori disponibili hanno uscite già dedicate al PWM, controllabili tramite l’uso di registri della CPU.
L’amplificatore (è sufficiente un transistor di potenza o un darlington) serve per amplificare il segnale. L’uscita digitale di un controllore non eroga corrente a sufficienza per pilotare un motore.
]]>Secondo me è dovuto al fatto che ormai con l’elettronica digitale e con l’uso di componenti in SMD l’uso delle resistenze si è abbondantemente ridotto.
Io in realtà le uso ancora… e molto anche. Se si fa poi elettronica analogica, è praticamente certo che non ci si può accontentare dei soliti valori standard (100, 1000, 10k, …)
Come funziona il codice colori:
La resistenza ha delle bande colorate sul suo involucro che permettono di identificare il valore in ohm e la tolleranza in percentuale.
Il valore è dato dalle prime 2 (o 3 nel caso di codice a 5 colori) e da un moltiplicatore che permette di calcolare “quanti zeri seguono la cifra”. Per esempio, una resistenza da 300 k ohm significa
300 000 ohm che si possono anche scrivere:
3 – 0 – 0000
cioè 3, 0 e 4 (4 zeri)
che traduciamo con arancio, nero, giallo.
La tolleranza indica quanto è precisa la resistenza, rispetto al valore indicato.
Il valore argento corrisponde al 10%. La resistenza di prima, se precisa al 10% significa che può avere valori compresi tra 300 000 – 30 000 e 300 000 + 30 000, cioè tra 270 000 e 330 000 ohm.
]]>Un server allo stato solido con Linux a bordo in un qudrato di 6 cm.
Di fatto abbiamo in controllore dotato di porte USB, ethernet, un modulo RTC, oltre a 40 porte IO utilizzabili come ingrssi/uscite, controller PWM, I2C, SPI, Seriale (RS232, 485 e 422) e convertitori A/D.
Una scheda con Linux significa che abbiamo a disposizione di fatto tutti i linguaggi di programmazione, database, WEB server, la possibilità di realizzare daemon, … e tutto strettamente legato alla parte fisica. Questo significa poter realizzare controllori gestibili tramite interfaccia WEB, automatismi controllati in tempo reale da un server.
La scheda è prosotta da Acme systems e viene venduta per meno di 100 euro.
Si tratta di un calcolatore basato sul microcontrollore Atmel AT91SAM9G20 e lavora a 400Mhz.
Sul sito sono disponibili numerosissimi esempi di codice per utilizzarla. Le applicazioni che permettono di ottenere grandi benefici sono legate a server allo stato solido, apparati network o server applicativi.
L’unico svantaggio che vedo è l’utilizzo di supporti flash come filesystem, per cui una frequente scrittura può risultare dannosa e poco efficiente. Questo significa che, sebbene sia possibile installare un server database, se sono previsti numerosi accessi inscrittura, meglio pensare a soluzioni differenti.
Alcuni esempi che aiutano ad apprezzare la potenzialità:
Ma, come sempre quando l’elettronica si unisce all’informatica, è la nostra fantasia l’unico vero limite alle molteplici applicazioni che si possono realizzare!
]]>Non si tratta di dare ascolto alle voci allarmanti secondo cui l’acqua sarebbe in esaurimento sul pianeta Terra. Per quanto mi riguarda si tratta semplicemente di risparmiare, evitando di pagare per un bene che viene fornito gratuitamente dalla Natura.
Tecnicamente è una realizzazione senza particolari problemi: si tratta di un serbatoio di raccolta, una pompa ad immersione che permette il pescaggio dell’acqua e un allaccio in uscita.
Alcuni serbatoi prevedono l’allaccio alla rete fognaria per scaricare l’eventuale acqua in eccesso.
Sono indispensabili invece i filtri in entrata, per depurare l’acqua che entra.
Eventualmente si può pensare di realizzare un mini impianto di distribuzione in casa.
Gli utilizzi possibili sono quelli non alimentari: irrigazione, lavaggio biancheria, lavaggi esterni (auto o altro), scarico del WC.
C’è da considerare che secondo studi in merito, circa la metà del consumo di acqua domestico potrebbe essere sostituito da acqua piovana. Il grafico mostra la distribuzione tipica dell’uso che una famiglia fa dell’acqua:
Solo questo ci fa intuire il risparmio.
Dobbiamo calcolare il nostro consumo per dimensionare il serbatoio.
Sono molte le aziende che producono questi impianti e vengono offerti moltissime possibilità per dimensioni e caratteristiche. Esistono serbatoi carreggiabili che permettono l’installazione sotto vialetti.
Sta a noi farci due conti: quanto spendiamo di acqua lo sappiamo: arriva la bolletta.
Possiamo prevedere un minimo di risparmio dovuto all’abbassamento del canone se cominchiamo all’azienda fornitrice che recuperiamo l’acqua piovana.
I consumi possiamo prevedere di dimezzarli, a patto di realizzare un impianto di distribuzione interno alla casa, almeno per raggiungere le cassette del WC e la lavatrice.
Quanto piove in Italia? La cartina ci mostra dei valori medi.
Spero di aver fornito un ulteriore suggerimento per ridurre i costi e gli impatti sull’ambiente.
]]>Innanzi tutto che cosa significa e perchè i PIC sono da programmare. L’elettronica ha drasticamente mutato il modo di realizzare i circuiti con il passaggio da logica cablata a logica microprogrammata. Per farla breve, senza addentrarci in dettagli qui non pertinenti, un circuito implementa una logica cablata quando esso viene costruito per uno scopo ben preciso. I componenti vengono scelti e collegati per attuare quanto ci serve per il particolare scopo. Si scelgono componenti di volta in volta e si calcolano i valori che vengono “saldati” sul circuito. L’idea di realizzare componenti e circuiti flessibili porta alla progettazione di schede generiche che possono svolgere molteplici operazioni.
Questo approccio ci porta alla necessità di affiancare allo schema fisico l’elenco delle operazioni che ci servono. Questo è il programma. Di fatto quindi possiamo vedere l’elettronica microprogrammata come una serie di circuiti mollto flessibili e capaci di svolgere tante operazioni e un programma che racchiude la sequenza di operazioni che devono essere esguite per una particolare operazione.
Esempio. Prendiamo un controllore e colleghiamo una delle sue uscite ad un LED. Diamo alimentazione e non succede nulla!. Se però inseriamo nel controllore una sequenza di operazioni per cui il piedino a cui è collegato il led passa alivello 1, dopo alcuni secondi passa a livello 0 e dopo alcuni secondi ricomincia da capo, abbiamo realizzato un lampeggiatore.
Se ci fermiamo al primo step, abbiamo un LED sempre acceso. Possiamo controllare quel piedino con oscillazioni a frequenza elevata, per realizzare un PWM e regolare la luminosità del led.
Facile comprendere con questo esempio che il circuito fisico non è mai stato modificato, ma con tre differenti programmi abbiamo ottenuto tre circuiti diversi.
L’attenzione si sposta quindi dal circuito al programma. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, abbiamo realizzato qualcosa di molto generico: un processore e un led.
Se avessimo voluto intraprendere la strada del cablato, avremmo collegato un led in serie ad una resistenza per tenerlo acceso. Nel momento in cui ci piace farlo lampeggiare, dobbiamo dissaldarlo, realizzare un multivibratore astabile e collegare il LED alla sua uscita.
Chiara la differenza?
Tutto questo ha avuto ampia diffuzione con l’abbassamento dei prezzi dei controllori e ulteriormente con l’arrivo di memorie flash. Non è più infatti necessario avere programmatori di EPROM particolari e poterle ripulire solo con le lampade UV.
Per molti ma non per tutti
Purtroppo questa flessibilità si paga con una necessità maggiore di conoscenze e competenze.
Abbiamo a che fare con un microprocessore ed un programma.
Partiamo dal programma: per scrivere un programma si deve conoscere un linguaggio di programmazione (i più utilizzati per i controllori sono l’assembler e il C). Si deve conoscere la logica di programmazione.
Le capacità di programmazione migliorano con l’esperienza, quindi bisogna dedicare molto tempo.
Il cuore del progetto risiede nel programma. In caso di errori dobbiamo essere in grado di eseguire il debug con una buona capacità di troubleshooting.
Per quanto riguarda il microprocessore, è l’oggetto che stiamo programmando. Anche se non nel dettaglio più fine, almeno sapere come funziona un microprocessore, che cosa sono i registri, una ALU, il program counter sono concetti che dobbiamo avere ben presenti.
Gli strumenti necessari
Passiamo all’elenco del materiale:
Ci serve un programmatore, un circuito che serve per trasferire il firmware sul controllore. Per i PIC io utilizzo il PICkit2 di microchip, ma ne esistono moltissimi.
Ci serve un computer. Per scrivere il programma abbiamo bisogno di un PC e uno strumento di sviluppo. Sempre di Microchip, fornito gratuitamente esiste MPLAB.
Ovviamente ci serve il controllore!
Dove acquistare
In qualsiasi negozio di elettronica (ormai in via d’estinzione) anche online, oppure si può risparmiare più del 50% acuistando direttamente dal sito Microchip.
Si utilizza per esempio per effettuare trasferimenti di files, invio mail, controlli periodici secondo una logica automatica, per cui viene di fatto programmata l’esecuzione di una serie di attività tramite un’interfaccia intuitiva e non un linguaggio di programmazione.
Lo schedulatore di cui voglio parlare è il Radish scheduler, un software gratuito dalle prestazioni professionali. In realtà la licenza è shareware, nel senso che è gratis con una limitazione in termini di operazioni schedulabili. Il costo della licenza completa è comunque ridicolo: si parla di 35 euro.
Le operazioni che possono essere schedulate dal Radish scheduler sono veramente molte:
Non male, direi…
Tutte queste operazioni vengono poi combinate tra loro in quelli che la logica del programma chiama Job, cioè una concatenzazione di singole operazioni, condizionate dall’esito di quelle precedenti.
Un Job può per esempio prevedere il trasferimento di un file, verificare l’esito e inviare una mail con il file allegato o la segnalazione di errore. Possono con la stessa logica pensate operazioni molto più articolate.
I Job vengono poi “schedulati”, cioè programmati per essere eseguiti a determinati orari tramite un’interfaccia che prevede una pianificazione completa.
Le logiche con cui all’interno del Job i songoli Task sono legati tra di loro sono
Dipendenza
Ogni task permette di essere esguito a seguito della verifica di una condizione. Possono essere verificati il valore di una variabile o il codice di uscita di un altro task.
Nell’esempio di prima, l’invio della mail che segnala l’errore è un task che viene eseguito se il precedente task di trasferimento ha un codice di errore diverso da 0
Codice di uscita di un task
I task hanno la caratteristica di restituire il valore 0 in caso di non errore o un valore diverso in caso di anomalia.
Il manuale riporta tutti i casi per consentiurne un corretto utilizzo.
Variabili
Si possono definire delle variabili, cioè dei nomi a cui associare un valore. L’utilizzo delle variabili permette il passaggio di informazioni tra una task e l’altro. Esistono alcune variabili predefinite (data, ora, …) e se ne possono creare di nuove all’interno di ogni singolo Job.
Per esempio si può valorizzare una variabile con dati provenienti da un database e utilizzarli per comporre il testo di una mail che viene inviata di notte.
Conclusioni
All’inizio ho avuto alcune difficoltà più che altro per comprendere la logica, ma con un po’ di tentativi sono riuscito a controllarlo senza problemi.
Ormai è più di un anno che lo utilizzo su alcuni server per eseguire operazioni di controllo e di integrazione tra applicazioni e devo dire che è uno strumento davvero utile.
Pagando la licenza si ha diritto anche ad un supporto, ma la disponibilità è sempre stata totale anche senza pagarla, quindi il giudizio finale è assolutamente positivo
]]>Impariamo ad utilizzare la pistola per verniciare a spruzzo, tutte le sue regolazioni e la tecnica per ottenere risultati strabilianti.
Partiamo dalla teoria sulla verniciatura per comprenderea fondo come utilizzarla al meglio con l’aerografo.
Qualche trucchetto per perfezionare la tecnica e ottenere risultati professionali anche a casa.
Iniziamo a capire come è fatta la vernice e come si pittura: darla a spruzzo è solo il metodo con cui la depositiamo sul supporto da verniciare, quindi tutta la teoria rimane invariata.
Come è fatta la vernice
Ritengo utile partire dalle basi per capire con cosa stiamo lavorando, per riuscire a utilizzare meglio il prodotto. Senza addentrarci in formule chimiche o dettagli non utili allo scopo, vediamo come è composta una vernice. Sono tutte uguali!
Fondamentalmente la vernice è una resina in cui sono disciolti altri componenti inerti che servono ad attribuire alcune caratteristiche particolari.
La resina è il componente principale che fa da “collante” a tutto: si lega con la superficie a cui deve e solidifica formando una patina sottile e resistente che incorpora gli altri componenti.
La resina è mischiata a solventi che la mantengono in uno stato fluido per facilitarne la stesura. Evaporando, i solventi, permettono la solidificazione della resina.
Le caratteristiche della resina ed il tipo specifico di solvente sono la caratterizzazione principale della nostra vernice.
Ogni resina ha il suo solvente: acqua, olio, nitro, poliuretanico, …
Alcune resine sintetiche vengono realizzate in modo da avere una caratteristica di particolare resistenza ad essicazione avvenuta. Proprio per questa caratteristica rischierebbero di solidificare troppo in fretta (anche nel barattolo). Sono stati quindi separati gli “indurenti”, realizzando così di fatto un prodotto bi-componente. La resina ed il catalizzatore. Le vernici bi componenti sono quindi caratterizzate da una resina che non indurisce se non con l’aggiunta di un prodotto specifico. Si tratta di una reazione chimica ben precisa, in cui è importante che ciascuna molecola di resina reagisca con le opportune molecole di catalizzatore. Per questo motivo le proporzioni in cui devono essere miscelati i due componenti devono essere indicate e precisamente rispettate.
Tra i componenti inerti che fanno parte della vernice giocano un importante ruolo i pigmenti che servono per fornire colore alla miscela.
Altre sostanze possono essere riempitivi, plastificanti, metallizzanti, buccianti, martellanti, … e servono per realizzare particolari caratteristiche alle vernici.
Il “ciclo” di verniciatura
Si parla di ciclo di verniciatura riferendosi alla sequen za delle fasi di lavorazione in relazione alle operazioni ed alle sostanze utilizzate.
Di fatto ormai si lavora come schematizzato in figura, creando strati differenti sull’oggetto: il fondo e la (o le) finitura.
In questo modo si ottengono numerosi vantaggi.
Tanto per cominciare si riesce a rendere indipendente la finitura dal materiale, rendendo di fatto equivalente la verniciatura su legno, ferro, plastica o altro materiale.
Vengono anche ridotte le tipologie di prodotti da dover utilizzare: ogni strato deve preoccuparsi esclusivamente della compatibilità con lo strato sottostante.
Il fondo svolge funzioni di preparazione della superficie e permette un “aggrappaggio” dello strato successivo. Esistono fondi riempitivi che hanno un’azione “pre-stuccante”, fondi turapori per legno che permettono di ridurre l’assorbimento, antiruggine per metalli, …
Il fondo può essere trasparente o colorato. Il fondo colorato più utilizzato è quello bianco (per esempio la cementite). Di solito si utilizza il trasparente quando la colorazione successiva deve lasciare in evidenza le caratteristiche del supporto (per esempio se vogliamo le venature del legno a vista). Si sceglie invece quello coprente colorato se si intende coprire con uno smalto.
Il fondo è destinato ad essere completamente coperto, quindi solitamente si utilizza bianco. Se vogliamo invece facilitare la verniciatura successiva, possiamo tranquillamente colorare anche il fondo, evitando di avere anche il problema di nascondere il bianco. Va coperto, quindi possiamo chiedere al colorificio di realizzarlo dello stesso colore che utilizzeremo per la finitura, oppure utilizzare i pigmenti generici per arrivare ad un colore vicino a quello della finitura. Si può anche pensare ad un lavoro fatto da fondo della tinta corretta e finitura trasparente.
Dopo aver dato il fondo (una o due mani, indicato nelle specifiche del prodotto) si passa alla fase di stuccatura e carteggia tura. Lo stucco serve per coprire difetti della superficie (buchi, botte, gibolli, …) la levigatura per rendere liscia la superficie.
Questa è la fase più importante di tutto il lavoro. È quella che determina la riuscita di una buona verniciatura. Lo smalto o la vernice che si da dopo, infatti, non potrà coprire i difetti, ma al contrario, tende a metterli in risalto.
Per la levigatura si utilizza carta vetrata fine (da 400 a 1000) e si passa con un tacchetto di legno, per evitare le imperfezioni di prssione che si avrebbero passandola a mano.
Dopo una pulizia del supporto si può passare alla finitura. Avendo fatto un buon lavoro sul fondo, il lavoro va in discesa.
Quante mani dare e come comportarsi tra una mano e l’altra. Il numero di mani dipende molto dal prodotto e dalla finitura che desideriamo.
Per decidere come comportarsi tra due mani, dobbiamo considerare che cosa succede.
I solventi presenti nella vernice che si stende aderiscono allo strato inferiore sciogliendo leggermente la vernice e creando di fatto un strato compatto.
In base a cosa usiamo per verniciare (rullo, rullino, pennello, spruzzo) stabiliamo il tempo minimo che deve passare tra le due mani. Il pennello richiede tempi più lunghi perché c’è il rischio limite di rimuovere lo strato inferiore con la passata delle setole. Lo spruzzo permette anche il bagnato su bagnato: di fatto non crea problemi di rimozione.
Per il tempo massimo, va tenuto in conto del tempo di essicazione: la mano deve essere stesa su una vernice non completamente essicata, altrimenti lo scioglimento dello strato inferiore risulta difficoltoso o impossibile. Nel caso in cui passi molto tempo (o per una mano di restauro) dobbiamo levigare lo strato inferiore, per rimuovere la patina superficiale.
Terminata la verniciatura, a seconda del tipo di pittura, può essere necessario o consigliata una levigatura finale, lucidatura, …
Preparazione della vernice
Strano: la vernice va preparata! Anche se sul barattolo c’è scritto “pronta all’uso”, non fidarsi è sempre una buona regola.
A seconda de tipo di vernice, la preparazione è differente. In particolare abbiamo da distinguere tra mono e bi componente.
Se stiamo colorando una base bianca, la prima operazione è la miscela dei pigmenti per ottenere il colore. Questi vanno poi aggiunti al bianco per ottenere la colorazione e gradazione desiderate. L’ideale è realizzare il processo in modo che sia “ripetibile”, per esempio pesando la base e i pigmenti, in modo da essere sempre in grado di ottenre lo stesso colore. Se questo non è possibile, dobbiamo preparare in una volta sola tutto il quantitativo necessario.
Diluizione. Si aggiunge il diluente specifico per ottenere la densità corretta.
Catalizzatore. Per le bicomponenti va aggiunto il secondo componente. In questo caso la bilancia è indispensabile. Non vale l’occhio, il misurino, … i rapporti resina/catalizzatore sono una caratteristica chimica della resina: non si sgarra. Troppo catalizzatore causa grumi, essicazioni premature durante la fase di stesura, facilità di “sfogliarsi” della finitura. Poco catalizzatore porta a stendere un fluido che non solidificherà mai completamente.
Come si miscelano? Si legge sull’etichetta o sulla scheda tecnica. Se c’è scritto: “Catalizzare al 50%” significa che prendiamo 100g di base, aggiungiamo 50g di catalizzatore, per ottenere 150g di vernice, oltre al diluente che abbiamo aggiunto (va pesata prima!).
Quanto deve essere densa la vernice? Dipende da tanti fattori: come la stendiamo, caratteristiche ambientali (temperatura prima di tutto), spessore che vogliamo ottenere con uno strato, …
Cerchiamo di capire come si comporta la vernice, dopodiché il grado di fluidità lo troviamo: prendiamo un pennello risecchito, bagniamo la punta nello smalto e passiamo su una superficie liscia. La vernice forma le righe della pennellata, che lentamente tendono a sparire per formare una superficie liscia. Questo è il comportamento della vernice! È il motivo per cui non vediamo le pennellate (o almeno non dovremmo) sul prodotto finito. Variando la diluizione si agisce sulla viscosità e quindi sulla velocità con cui questo “spianamento” avviene. Più è fluida, più la velocità di spianamento è maggiore e lo strato di vernice depositato è sottile.
Gli eccessi si traducono in pennellate visibili a prodotto essicato e non copertura della mano inferiore.
La tecnica a spruzzo
Come dicevo, l’ho presa larga, ma finalmente ci siamo.
Penso però di aver fornito elementi per comprendere cosa sta dietro a consigli e tecniche e capire come muoversi.
Innanzi tutto che cosa significa verniciare a spruzzo: trasferire la vernice sul supporto soffiandocela sopra. Non ci sono pennelli, rulli, tamponi, …
Ogni metodo di trasferimento ha le sue caratteristiche da gestire: il pennello tende a lasciare le righe, il rullo tende a bucciare, … lo spruzzo tende a disperdere e disgregare le componenti della vernice. Lo spruzzo non permette di spostare la vernice, una volta depositata.
Cosa serve:
La pistola
La pistola a spruzzo permette di regolare una serie di parametri. Vediamo come fare per capire quali sono le regolazioni ottimali.
Non ho mai verniciato a spruzzo e non so come deve essere il getto. Questa è una situazione ovvia per un hobbista. Investiamo 3 euro per una bomboletta spray economica. Con la nostra pistola dobbiamo poter verniciare allo stesso modo in termini di quantitativo di vernice e tipologia di getto.
Mi sembra un buon modo per capire come regolare la pistola.
La tecnica
Il pannello lo stendiamo piatto su dei cavalletti, utilizzando dei listelli per distanziarlo. In questo modo evitiamo che si sporchi la faccia rivolta verso il basso e che i bordi tocchino i cavalletti.
Si parte dai bordi. Sono critici e chiedono più mani. Se li facciamo per ogni faccia, avremo dato il doppio delle mani.
Di fronte al pannello, con movimenti orizzontali paralleli a noi copriamo il pannello. Andiamo verso l’esterno: da noi ad allontanarsi. In questo modo lo spolvero viene allontanato e inglobato nella vernice.
Diamo subito la seconda mano incrociata a 90 gradi. Questo permette di colmare eventuali vuoti lasciati nella prima.
Quando arriviamo al limite del pannello, spruzzare fuori, evitando il passaggio eccessivo nella zona perimetrale. Si creerebbero zone in cui il film di vernice sarebbe più spesso.
Quanto bagnato deve essere lo strato? Abbastanza: molto simile a quello che sarebbe utilizzando un pennello o un rullino. Non dimentichiamo che lo spruzzo è solo una tecnica di trasferimento, non qualcosa che prevede utilizzo di vernici diverse.
Cosa fare se rimane della polvere, un moscerino o altre impurità? Togliamo subito con un dito, o con un pennellino piccolo che ci teniamo nei paraggi. La vernice non è ancora solida: il segno che lasciamo si chiude, esattamente come sparirebbero le righe delle pennellate.
Se il bordo cola? Sempre con il pennello, eliminiamo le gocce. È più facile farlo da bagnato che con la carta vetrata dopo.
Un eventuale ritocco va fatto subito e non localizzato al punto da ritoccare, ma occorre ripetere una passata completa.
Pulizia della pistola.
È fondamentale e va fatta subito dopo il lavoro.
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